NIPT: le nuove frontiere della diagnosi prenatale non invasiva (DNA-TEST)

NIPT: le nuove frontiere della diagnosi prenatale non invasiva (DNA-TEST)

La diagnosi prenatale si affida ad una serie di indagini strumentali e di laboratorio sviluppate negli ultimi 50 anni con lo scopo di monitorare il feto dal momento del concepimento fino al parto.

Gli screening prenatali non invasivi, elaborati negli ultimi 30 anni, si basano essenzialmenteblood-20745_1280sull’analisi di marcatori biochimici sul sangue materno, combinati con delle indagini ecografiche. L’ ultimo test, in ordine cronologico, ad essere inserito nella diagnosi prenatale è il test del DNA, applicato nel 1997 per la prima volta.

Si tratta di un test con il quale, a partire dal primo trimestre di gravidanza ( 5 settimane di amenorrea ) è possibile individuare porzioni di DNA fetale nel sangue materno.

Il DNA test deve essere collegato e preceduto da un accurato controllo ecografico dopo l’XI settimana, effettuato da operatori accreditati nell’esame delle XI-XIV settimane. Nel caso in cui già i dati ecografici suggeriscano un aumento del rischio di patologia cromosomica nel feto, deve essere valutata l’opportunita’ di eseguire direttamente una diagnosi prenatale invasiva.

Il Test Prenatale Non Invasivo (NIPT) puo’ essere eseguito sia nelle gravidanze naturali, sia in quelle avviate con la procreazione medicalmente assistita e consiste in un prelievo dei sangue materno.

Il test, finalizzato alla diagnosi di alcune patologie numeriche dei cromosomi, e’ stato validato attraverso alcuni studi internazionali che hanno arruolato larghi campioni di gravidanze, si tratta di uno screening prenatale non invasivo, che ha una sensibilita’ piu’ elevata rispetto agli attuali test di screening che combinano le analisi biochimiche e la translucenza nucale. In una revisione recente di 37 studi è stata calcolata la sensibilità per le tre principali alterazioni cromosomiche:

Sindrome di Down – Trisomia 21: 99,2% con falsi positivi 0,09%

Sindrome di Edwars – Trisomia 18: 96,3% con falsi postivi 0,13%

Sindrome di Patau – Trisomia 13: 91,0% con falsi positivi 0,13%

Il suo impiego riduce notevolmente il ricorso alle indagini diagnostiche invasive e, di conseguenza, il rischio di aborto ad esse correlato. D’ altro canto, la sensibilità di questo test rischia di far passare l’ errato messaggio che con un esame del sangue si possa diagnosticare con certezza un’ anomalia cromosomica.

RICORDIAMO CHE SI TRATTA DI UN TEST DI SCREENING, NON DI UN TEST DIAGNOSTICO.

In almeno il 2% dei casi, il campione acquisito non è idoneo per l’ analisi poichè le concentrazioni di DNA fetale risultano insufficienti. Per essere affidabile il risultato deve essere ottenuto a partire da una percentuale di DNA fetale libero non inferiore al 4% del totale del DNA libero presente nel plasma materno.

Il DNA test puo’ occasionalmente non fornire un risultato, anche per altre ragioni diverse, ad esempio per problemi collegati al trasporto dei campioni, per l’assenza del DNA fetale nel campione ematico materno o per altre cause. Un risultato indicativo di una “bassa probabilità di trisomia” deve essere considerato, di massima, rassicurante per la donna, in considerazione dell’elevata specificità del test.

Attualmente in Italia l’ esame può essere effettuato in alcuni ambulatori privati accreditati ( ISO 15189 e simili ), collegati con aziende che eseguono il test, i cui risultati sono validati da documenti prodotti dalle Società Scientifiche. Si stima che l’utenza di questo servizio interessi potenzialmente al momento nel nostro paese circa 50.000 madri/anno. Il test e a carico dell’utente, con costi variabili tra i 350 e i 900 Euro.

  1. Linee Guida Ministero della Salute ( C.S.S. Maggio 2015 )

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